Conversazione con il musicologo Maestro Stefano Trevisi su soundtrack e archetipo.

Joe Schievano archetipo soundtrack

Come possiamo definire l’archetipo nella musica? 

Innanzitutto Joe ti ringrazio per avermi invitato a fare questa chiacchierata con te su un argomento che particolarmente mi vede coinvolto e che da molti anni condividiamo come riflessione comune. 

Da Dx Stefano Trevisi e Joe Schievano

Partirei dalla definizione stessa di “archetipo” che nel suo significato generale rimanda ad un modello, ad una forma. Chiaramente la definizione così presa in generale trova la sua etimologia nel greco antico, essendo la risultante di arché che si riferisce al principio originario e typos che è un termine che ha un gran numero di significati (come spesso accade in questa lingua) ma che nell’accezione più diffusa è quella di modello.

Sicuramente la tua domanda fa riferimento ad un archetipo decisamente più articolato nel significato e in particolar modo allude all’analisi junghiana che individua nell’archetipo quell’idea primordiale appartanente all’uomo inteso come collettività. 

Gli archetipi sono dei veri e propri principi primitivi.

Sono principi che trascendono la cultura, simboli propri di ogni individualità culturale e rappresentano quello che Jung individuava nell’ ”inconscio collettivo”.

Nella musica è possibile individuare due direzioni di archetipi, l’una determinata dall’estetica e l’altra dai segni e forme. Credo che quella dei segni e delle forme sia l’area più difficile da individuare e da rappresentare consapevolmente nella fase di composizione, poiché richiede al musicista una spiccata cura e precisione che sono sempre frutto di attento studio e ricerca.  Di esempi ne possiamo vedere e sperimentare in gran numero, partendo anche da macro segni quali i modi antichi e i raga orientali –  dove possiamo cogliere i nessi archetipici attraverso i testi che ne descrivono le implicazioni per l’uomo – fino a micro segni che possiamo individuare in un semplice incipit di una antifona gregoriana o in quel salto nell’attacco di una melodia Sufi che ritroviamo anche nella sua rappresentazione geometrica. per rapporti matematici, nel capitello di una colonna in un chiostro antico, come del resto, ci ha insegnato Marius Schneider con le sue ricerche.

L’archetipo musicale si svela al musicista che in primis ha una profonda coscienza dei contenuti e della conoscenza dei Suoni e che sa mettere in relazione questo Suono universale con le scienze che lo possono concretizzare nella forma. All’apparenza sembra assai complicato; in realtà quando ci si è immersi non si può che praticare il tutto in maniera naturale.

La musica per immagini, la colonna sonora, quasi sempre si relaziona con l’aspetto archetipico, perché?

Perché entra nel cuore di quello che esprime. Attenzione, non lo descrive; direi che ha la potenza di poterlo “fingere” come intendevano gli antichi romani, cioè “costruire, dare vita”. La questione in sé è semplice tanto quanto articolata e complessa perché corriamo il rischio di confondere i piani. Cerco di spiegarmi: se ascolto una composizione che possiamo definire descrittiva,  durante l’ascolto posso seguire il percorso che l’autore fa compiere a me, ascoltatore, attraverso il riconoscimento sonoro di questo affresco.

Quando ci troviamo di fronte ad un archetipo musicale, ad esempio, sperimentiamo una cosa diversa,

è proprio una trasformazione in cui veniamo richiamati, è quel passaggio che ri-suona e veramente mette in atto una trasformazione.Parliamo proprio, perdonatemi l’espressione sportiva, della discesa in campo di un universo i segni musicali acustici e sonori che subito ti creano una connessione, un ponte. Non c’è nulla di romantico in questo, anzi. Certi salti di ottava in alcune opere per tastiera di Bach sono dei ponti verso l’infinito; non è un semplice sentire; se li vai ad analizzare in quel contesto sono diversi dai mille altri salti di ottava che puoi trovare nella sua produzione sterminata.

Quindi la musica per immagini quando è perfettamente rispondente al segno filmico ha in sé quell’archetipo che la accende.

Molte delle colonne sonore sono costruite su scale modali, può esserci una correlazione con l’archetipo?

Assolutamente. Le scale modali, o scale antiche, sono forme antichissime e archetipiche della nostra cultura musicale. Platone stesso, nel De Repubblica, le classifica per “caratteri” a seconda del sentimento che potevano suscitare facendone uso. Nulla di diverso da quanto accade ancora in India con l’uso dei raga, le loro scale vengono utilizzate alla stessa stregua dei modi; oserei dire che in India si usano in maniera ancora più precisa e puntuale: vi è il raga del mattino o della sera, della primavera o dell’autunno fino ad arrivare a raga specifici del giorno. Un vero e proprio tappeto di Suono per l’anima.

Le percussioni utilizzate nei film sono sempre significative, possono essere da combattimento alla Hans Zimmer, elettroniche o minimaliste, ma hanno sempre un grandissimo appeal, anche questo potrebbe avere a che fare con l’archetipo?

Modellazione di percusssioni e voci nell’ultima colonna sonora di Joe Schievano dal film Tiziano.L’impero del colore.

Sicuramente le percussioni e insieme a loro anche gli strumenti a fiato, rappresentano le primissime espressioni strumentali dell’uomo. Dalle pelli e dalle ossa degli animali cacciati l’uomo trae degli strumenti con cui decide di riprodurre la Natura che lo circonda, il suono degli uccelli, il rombo dei tuoni ad esempio; decide di riprodurre un mondo per poterlo comprendere e non dico governare, ma articolare nel suo pensiero e comprensione. Tutto questo è molto complesso perché non solo archeologicamente è interessante ma soprattutto perchè lo sviluppo del sistema di percezione simbolica con il reale dell’uomo va di pari passo con lo sviluppo del linguaggio e del linguaggio musicale. Qui parliamo di archetipi potentissimi  che mettono in triangolazione linguaggio, musica e cervello. Ma questo è un argomento così vasto e affascinante che credo sarà necessaria una seconda chiacchierata insieme a te.Per dire che si rende necessaria una seconda chiacchierata insieme a te.

Oggi la colonna sonora si è aperta a nuove possibilità, l’integrazione tra musica e sound design, suoni del reale “trattati” e che diventano sonorità nuove, o addirittura oggetti che diventano strumenti. Forse ancora di più nella costruzione di queste opere l’aspetto archetipico è importante?

Joe Schievano
Ricerca di nuove sonorità
Registrazione e modellazione di nuovi suoni

Assolutamente. Hai perfettamente ragione. Purtroppo è ancora troppo poco conosciuta l’opera e gli studi del compositore americano Murray Schaffer che negli ultimi trent’anni orientò il suo lavoro di ricerca e composizione proprio verso l’identificazione di soundscape. I suoi lavori i ricerca e i suoi articoli individuano proprio attraverso un analitico uso di certe pratiche acustiche un archetipo di “paesaggio sonoro” che appartiene all’essere umano.

Grazie Stefano Trevisi di questa conversazione, la tua visione sull’argomento apre orizzonti di interesse e so per certo che si tratta solo di uno spiraglio che rivela un mondo culturale immenso,

È stato un vero piacere, Giovanni, dialogare con te su un tema così importante. Mi spiace solamente che le condizioni di tempo e di spazio necessariamente contenuto di una intervista, possano non far entrare nel cuore il tema dell’archetipo musicale. Ma spero vivamente che possa aver solleticato la curiosità. 

Immersi in un Universo che risuona..

Non dobbiamo dimenticare che siamo immersi in un Universo che risuona (quella che Boezio identificava come musica universalis) e siamo per primi esseri musicali in totale e assoluta vibrazione e risonanza con questo Universo. Dalle dottrine indù fino alle opere di Cage passando per gli scritti di Schneider e molti altri studiosi, possiamo sperimentare questi archetipi sonori che ci circondano; il fatto di non esserne consapevoli non determina che non ne beneficiamo, ma la consapevolezza permette di superare la soglia. E questa è sicuramente la parte più divertente e stimolante del viaggio. Buon viaggio a tutti.

Stefano Trevisi

Stefano Trevisi

Si è diplomato in pianoforte principale presso il Conservatorio “B. Marcello” di Venezia sotto la guida della professoressa Anna Colonna Romano.

Ha successivamente seguito corsi di perfezionamento di pianoforte e musica da camera con B. Lagace, J. Ph. Thiollier, G. Gorog e A. Meunier. Ha studiato direzione di coro con Primo Beraldo e canto gregoriano e musicologia sacra e sacra Liturgia con Giulio Cattin. Ha intrapreso lo studio del clavicembalo sotto la guida della professoressa Paola Erdas.

Contemporaneamente ha compiuto gli studi di Filologia Medievale ed Umanistica presso l’Università di Padova. Nel 2013 è stato chiamato dalla Fondazione Benetton Studi Ricerche a dirigere artisticamente il progetto “Musica antica in casa Cozzi” che vede ospiti gli interpreti mondiali più importanti della musica antica impegnati in una attività di corsi di alta formazione.Ha creato e dirige il Festival Nuove Musiche dedicato al recupero delle antiche Chiese medievali. Svolge attività concertistica sia da solista che in formazione cameristica.

Ha creato e dirige il gruppo vocale Kalicantus Ensemble specializzato nell’esecuzione della musica dei secoli XIV-XVI. È stato responsabile della pagina culturale della rivista Enos Veneto, in cui pubblica ricerche nell’ambito della relazione tra la cucina storica e le arti rinascimentali. Cura programmi radiofonici dedicati alla musica antica. È autore di podcast dedicati alla storia della musica. È membro del Music Academic Team di Trinity College London – Italy.

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